Archeologia e archeologi: chi ha ragione?

Negli articoli precedenti abbiamo più volte citato l’archeologia e i suoi risultati come oggettivi e attendibili di fronte a molte ricostruzioni storiche. Lo studio accurato dei reperti archeologici consente di confutare le teorie infondate e di smentire le ricostruzioni fantasiose e/o ideologiche di certi storici. Abbiamo verificato che ciò avvenne più volte.

Di fronte a certe asserzioni, le scoperte archeologiche convalidano ciò che disse il Signore: “grideranno anche le pietre”.

Anche l’archeologia, però, è una scienza,  per cui neppure gli archeologi, come tutti gli altri scienziati, sono infallibili. Sono interessanti, quindi, le riflessioni sul valore degli studi di archeologia preistorica, espresse da uno dei maggiori archeologi.

emmanuel anatiEmmanuel Anati, fondatore, nel 1964, del Centro camuno di studi preistorici, ha fatto conoscere al mondo la Val Camonica e la sua civiltà preistorica ma, soprattutto ha creato una nuova disciplina dell’arte rupestre, ormai apprezzata in tutto il mondo. Mediante nuovi criteri e metodi scientifici, infatti, ha portato alla luce un’enorme quantità di figure e graffiti eseguiti sui fianchi di rocce sparse nei siti di tutto il mondo.

Nell’intervista di L. Rosoli (Avvenire 28.2.14, p. 11) ha dato alcun risposte illuminanti su l’archeologia e gli archeologi. Riportiamo qui alcune delle sue riflessioni più interessanti.

Anzitutto, egli sottolinea che ormai l’archeologia non può più considerarsi un “fine”, ma soltanto un mezzo, uno strumento utile per conoscere l’uomo, la sua anima, le sue spinte intellettuali e spirituali.

Aggiunge però, che purtroppo molti archeologi, suoi colleghi, sono ancora fermi a una visione di archeologia puramente descrittiva. Sanno descrivere bene i vari reperti dei quali, però, non sanno che farne.

Anati e la sua scuola, invece, si sono impegnati a dare alle loro ricerche: una profondità di campo, una capacità analitica e una metodologia di ricerca veramente nuove. Questa novità e le sue svolte, però, da molti sono ancora o ignorate o incomprese.

Tale impostazione antropologica, invece, si è guadagnata la stima e il riconoscimento di scienze importanti come la sociologia, la psicologia e l'antropologia che ora operano, valorizzando i risultati ottenuti da Anati e dai suoi collaboratori e allievi.

Ciò avviene perché, in cinquant’anni, i loro studi hanno rivoluzionato il concetto di uomo, mostrando come questi sia spirituale e intellettuale da quando nacque. Confermano, perciò, che la spiritualità non nacque col monoteismo, ma con l’uomo stesso.

Quegli uomini preistorici, per trasmettere i propri messaggi, si servirono di pitture e d’incisioni rupestri. Anati vi ha scoperto una forma di scrittura già praticata quarantamila anni fa.

L’attuale società, invece, se è fermata alle differenze fra singoli paesi, lingue e culture, per cui non ha scoperto quello che l’intera umanità ha in comune.

Non insegna, perciò, a vedere lo spirito dell’uomo e la sua sete, sempre inappagata, di conoscenza e di senso, che sta alle nostre radici comuni. Non vede come tutti nasciamo da un’unica famiglia.

Questi aspetti hanno forti collegamenti con le tematiche spirituali e religiose. Ciò conferma che, anche per quest’ambito come per quello biblico, per la scienza e i suoi cultori è essenziale liberare la propria mente da pregiudizi, dogmatismi e ideologismi.

Sono questi ad impedire agli scienziati di percepire concretamente l'effettiva spiritualità, religiosità, fede ecc. dell'essere umano. Quanti non si liberano da questi limiti e dagli equivoci che ne conseguono, finiscono per prendere come conoscenze scientifiche ciò che è il frutto dei propri pregiudizi e dogmatismi ideologici. Ciò, però, non è più scienza, ma scientismo.

Gualberto Gismondi