Bibbia: fede, storia, scienza

 

In quest’articolo esaminiamo un episodio del Libro di Daniele che riguarda la storia e la scienza. Ad esso si collega un fatto che durò diversi secoli. Alcuni storici si sforzavano di dimostrare il carattere anti-storico delle pagine bibliche. Partivano, però, da un grave pregiudizio, rivelatosi un grave errore: confondevano storia e storiografia.

 

I dizionari definiscono la storia come “susseguirsi dei fatti e avvenimenti che sono o possono essere oggetto di ricerca ed esposizione da parte della storiografia”. Storia, quindi, significa realtà. Definiscono invece la storiografia come la scienza e la pratica di scrivere opere relative a eventi storici del passato, in quanto si possano riconoscere in essa un’indagine critica e dei principi metodologici (Cf VLI, IV, 608, 610).

 

Le due definizioni mostrano la grande differenza fra storia, che significa fatti reali, complessi e difficili a conoscersi e storiografia, che è invece ricerca e metodo per scoprire, conoscere e descrivere tali fatti reali. Possono esistere, quindi, tante storiografie, ossia indagini, descrizioni e metodi, quanti sono gli storici. Gli storici, però, sforzandosi di scoprire eventi e descrivere fatti, seguono sovente pregiudizi e ideologie che inquinano i loro metodi e criteri, rendendoli contraddittori.

 

Per questo motivo i risultati e le descrizioni storiche sono sovente molto diverse fra loro. È molto istruttivo, al riguardo, l’episodio della mano misteriosa che scrive parole arcane sulla parete. Esso si trova nel capitolo 5° del “Libro di Daniele”. Nessun indovino, mago e veggente del re poteva interpretare la visione e le parole dal significato profetico, sapienziale e apocalittico. Vi riuscì solo Daniele.

 

La Bibbia, però, riferisce il fatto al re di Babilonia: Baldassarre. Gli storici moderni gridarono all’errore, sbaglio, immaginazione, fantasia, episodio senza fondamento, sostenendo che mai vi fu un re Baldassarre. Nel 1854, però, in uno scavo archeologico furono trovati numerosi cilindretti d’argilla con scritte babilonesi. H. Rawlinson, famoso decifratore del cuneiforme babilonese, ne asserì l’eccezionale importanza. Contenevano, infatti, una preghiera per Nabonide re di Babilonia (nel 555-539 a.C.) e per il suo figlio primogenito: Baldassarre. Questi, quindi, esisteva veramente.

Altri reperti ancora documentarono che Baldassarre, principe ereditario, non era salito ancora sul trono. Gli storici, allora cambiarono le loro critiche: l’errore era di averlo chiamato re. Benché meno grave del primo, era sempre un errore. Anche questa volta, però gli storici sbagliarono. Ulteriori ricerche e studi dimostrarono che il re Nabonide abitò molti anni a Tema in Arabia, lasciando al solo Baldassarre il governo di Babilonia.

 

È per questo che i documenti non ufficiali lo chiamavano re, benché non lo fosse. Vi è poi un altro particolare a dimostrare la correttezza e precisione storica del Libro di Daniele. Quando Baldassarre chiese a Daniele di decifrargli le parole Mene, Tekel, Peres, gli promise anche una veste di porpora e una collana d’oro ma, soprattutto, di “condividere come terzo il potere del Regno”. Vi erano precedenti analoghi. Il Faraone d’Egitto aveva promesso a Giuseppe di farlo “secondo nel regno” se avesse decifrato i suoi sogni. “Secondo” significa: subito dopo il Faraone che era il “Primo”.

 

Perché, invece, Baldassarre promise a Daniele di farlo soltanto “terzo nel regno”? Perché il “Primo” era suo padre Nabonide. Baldassarre, quindi, era solo il “Secondo” e aveva solo il potere di nominare Daniele soltanto come “Terzo”. Sottigliezze? No. Fatti storicamente precisi e corretti, perché mostrano che l’episodio è vero e riferito in modo veritiero. Il Libro di Daniele, quindi, è veridico e veritiero, perché riferisce esattamente eventi veri e reali.

False, sbagliate e infondate erano, invece, le critiche, le illazioni e i giudizi di quegli storici, che furono smentiti inesorabilmente dalla scienza archeologica, i cui dati autentici e reperti reali confutarono ogni loro congettura e teoria.

 

Ciò che conta, però, nella Bibbia e nelle sue parole, è la verità del suo messaggio profondo, ossia: religioso, spirituale ed etico-morale. È questo che la Parola di Dio ci trasmette ed è questo che costituisce l'oggetto della nostra fede e che dobbiamo credere. In quest'episodio, che abbiamo preso come esempio, il contenuto vero del messaggio è l'insegnamento che Dio: 1) conosce fin dagli inizi la fine dei cosiddetti “potenti”: re, imperatori, vice-re ecc.; 2) esercita sempre su tutti la sua divina autorità; 3) interviene al momento giusto, per il bene delle persone e la salvezza dell’umanità.

 

Gualberto Gismondi


 

 

“La sacra Bibbia”: perché questa rubrica?

 

 

Anche gli antichi avevano la scienza

 

Scienza e scienze esistevano molto prima dell’era moderna. Dalla notte dei tempi a oggi, astronomi, medici, farmacisti, ingegneri, architetti ecc., realizzarono con mezzi poverissimi, opere molto ardite. Reperti preistorici e archeologici mostrano imprese e risultati notevoli, attuati con strumenti molto imperfetti, da persone molto ingegnose. L’uomo antico sopperiva all’imperfezione dei suoi mezzi, perfezionandoli e inventandone nuovi, con acuto ingegno e capacità di pensiero sovente eccezionale. Alcuni esempi? Sì: precisi calcoli astronomici (eclissi solari, lunari e moti planetari); farmaci antenati dei nostri; costruzioni imponenti, talora arditissime; monumenti che sopravvivono ai millenni; edifici imponenti testimoniati da rovine plurisecolari ecc. Allora, molti scienziati erano sacerdoti delle varie religioni. Nella modernità le cose mutarono. Insuperbiti per la loro scienza neonata, alcuni, sbagliando, pretesero di leggere la Bibbia come un vecchio testo di scienze o di storia. Di qui le loro critiche e accuse, come avvenne nei casi di Galilei e di Darwin.

 

Bibbia: libro né di scienza né di storia

 

Ovviamente, alcuni fatti in essa descritti hanno a che fare anche con elementi storici e aspetti scientifici, ma i suoi contenuti, scopi e fini sono spirituali, religiosi ed etico-morali. Se si dimentica ciò si cade in errori ed equivoci grossolani, come testimoniano quattro secoli d'incomprensioni ingiustificate e arbitrarie e immaginari conflitti. Immaginari, perché esistenti solo nella testa di chi li pensa, ma non nella realtà dei fatti. Tutti questi inconvenienti infransero la plurimillenaria alleanza fra religione, fede e scienza, con grave detrimento di tutt’e tre. Dal 1600 al 2000, però, scienza, scienze e storiografia sono molto cambiate e cambieranno ancora profondamente. È necessario e urgente, ormai, aggiornare da capo a fondo, e superare del tutto, le “invecchiatissime idee moderne”. Lo esigono e ce lo c’insegnano molti fatti importanti e interessanti, che esamineremo nei prossimi articoli. A titolo di esempio, inauguriamo questa rubrica con un episodio eloquente e significativo, riguardante il Libro di Daniele, che la liturgia ci propone proprio in questi giorni. Esso coinvolge storia e archeologia, storici e archeologi. Il caso dell’archeologia palestinese iniziata nel 1890 da Flinders Petrie è, infatti, emblematico.

 

 

“Grideranno le pietre”

 

Riguardo all’archeologia, alcuni divulgatori, male informati e incompetenti, avevano inventato lo slogan: “ogni colpo di piccone dato in Palestina strappa via una pagina della Bibbia”. Tale idea così superficiale si dimostrò quasi subito errata e tale rimane tuttora. Più di diciotto secoli prima, però, un certo artigiano di Nazareth, ritenuto anche un rabbì, aveva detto una cosa diversa, dimostratasi vera fino a oggi. La riporta il vangelo di Luca (19, 37-39). Ai suoi avversari, che volevano impedire alla folla entusiasta di acclamarlo: “Benedetto colui che viene nel nome del Signore”, Gesù rispose: “In verità vi dico, se questi taceranno, grideranno le pietre”. Mai previsione fu più vera di questa. Milioni di pellegrini e di assidui visitatori dei paesi ricordati nella Bibbia, da venti secoli confermano che anche le pietre gridano veramente, insieme a reperti archeologici e storici, già innumerevoli e sempre crescenti in qualità e numero. Fra essi non vi sono solo pietre, ma anche muri, mattoni, metalli, avorio, vetri, ceramiche, pergamene, tessuti, papiri ecc. Il Rabbì di Nazareth era un indovino, un profeta o, come disse lui stesso, “molto più di un profeta” (Mt 12,41; Lc 11, 31)? Quanto alle pietre, agli anziani e i sommi sacerdoti che gli si opponevano, recitò il Salmo 118: “La pietra che i costruttori hanno scartato è divenuta testata d’angolo”. Definì, quindi, se stesso “pietra angolare”, aggiungendo: “Chi cadrà su questa pietra si sfracellerà e a chi cadrà addosso lo stritolerà” (Lc 20, 17; Mt. 21, 42). I due verbi si addicono bene a tutti i dubbi, idee, critiche, negazioni, opinioni, tesi e ipotesi sulla Bibbia, formulate nei millenni trascorsi. Come tutte le illusioni e gli errori, sono state sfracellate dai fatti e stritolate dalla realtà.

 

Gualberto Gismondi